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BRING INTO PLAY 

India e Albania sono due paesi che stanno attraversando da molti anni un intenso sviluppo economico e hanno vissuto una nuova fase di apertura verso l’Occidente. L’Albania alla fine degli anni Ottanta è uscita da una lunghissima dittatura comunista isolazionista e ha successivamente avuto gravi situazioni di instabilità politica e finanziaria; l’India, attraverso politiche di sviluppo economico e di istruzione iniziate negli anni Novanta, ha avuto un periodo di grande apertura a nuovi scenari, in entrambi i contesti lo sviluppo economico ha causato delle conseguenze che sono andate a impattare alcuni degli aspetti culturali e sociali delle due nazioni.

Bring into play - letteralmente “far entrare in gioco” - è una bipersonale di Arber Elezi e Koyal Raheja in cui gli artisti hanno approfondito questo aspetto partendo dai giochi che si tramandano da genitori a figli, giochi non esclusivamente ludici ma che trasmettono esperienze diverse come un primo esercizio di manualità o perfino un primo approccio con la spiritualità. Il risultato è una visione del contesto in cui gli artisti hanno vissuto la loro infanzia, sicuramente diversa da quella che viviamo noi ora o che attualmente vivono i loro connazionali.
Arbër Elezi (Berat - Albania, 1988) presenta un’installazione, una trappola per uccelli, oggetto costruito per svago ma anche utile per la sussistenza e che ci collega alle nostre curiosità e indagini di bambini con gli animali, nello specifico gli insetti, anche se su un piano decisamente diverso. Ѐ una testimonianza legata a un periodo storico piuttosto cruento per il suo paese, dalla fine degli anni Ottanta a tutti gli anni Novanta l'Albania è stata teatro di violenti crisi politiche interne con la conseguenza di emigrazioni di massa che hanno coinvolto direttamente l’Italia. È anche una riflessione sull’attualità: così come fanno gli uccelli migratori che si spostano per nidificare e cercare più fonti di cibo e una migliore situazione in cui crescere i propri piccoli, così gli uomini che si muovono da un contesto segnato da conflitti e difficoltà economiche in un altro più adatto a vivere la propria vita e quella della propria famiglia. L’installazione di Arbër è costituita da una montagna della speranza al cui apice è una trappola in cui si può rimanere intrappolati oppure riuscire a prendere l’esca e piantare nuove radici. Il muro è un altro elemento che Arber ha ritrovato nelle prigioni della dittatura comunista, dove spesso i prigionieri politici per immaginare un mondo diverso disegnavano sulle pareti.
Gyan Chaupar è il nome del gioco tradizionale indiano che l’artista Koyal Raheja (Bangalore - India, 1992) porta in mostra. Trattasi di un gioco di dadi di origini antichissime il cui obiettivo è partire dal mondo terreno, rappresentato con pianti e animali, fino a raggiungere il moksha, il nirvana percorrendo le 7 vite della religione hinduista, le 7 reincarnazioni. Le scale simulano le buone azioni mentre i serpenti le cattive e attraverso di esse si può percorrere più facilmente la distanza o facilmente scivolare verso il basso. Anche in questo caso l’elemento ludico è presente ma è rimarcata anche la parte spirituale, i 7 lavori a parete simboleggiano 5 partite/vite che l’artista ha giocato/vissuto e infatti sono attinenti alla vita terrena, mentre altre due sono vuote perchè riferite a esperienze mistiche che Koyal deve ancora vivere. Un viaggio che si compone nella scrittura di poemi tratti dai mistici Kabir Das e Shah Abdul Latif. 


“Sono partito alla ricerca di un uomo imperfetto,
ma non ne ho trovato uno.
Quando infine ho guardato dentro di me,
ho capito che non c’era uomo
più imperfetto di me”

“Posso continuare a cercare per sempre,
ma pregare di non trovare mai,
e pregare anche di non trovare mai i più cari.
Altrimenti la bramosia nel mio cuore
potrebbe placarsi”

“Camminare e cercare ogni giorno,
alla fine ho perso la mia strada.
Quando una goccia d’acqua cade nell’oceano
come può tornare indietro?”

“Ogni cosa si rivela al momento giusto.
Posso annaffiare le piante ogni giorno,
ma i frutti crescono solo nella giusta stagione”

“La terra chiede al vasaio,
perchè mi frantumi? Perchè mi modelli?
Verrà un giorno
in cui ti modellerò io”
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Arbër Elezi (Berat, Albania - 1988) ha studiato al Liceo Artistico Ajet Xhindole di Berat e all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Ha partecipato alle collettive:  L’Arca di Noè - SRISA Project Space e La sovversione dell’oggetto - LATO Prato nel 2017; La fine del mondo - Centro Pecci, progetto TU35 nel 2016; Identità - Casa Masaccio nel 2015.

Koyal Raheja (Bangalore, India - 1992) ha studiato a Srishti School of Art, Design and Technology di Bangalore e sta frequentando un master in Belle Arti presso SACI a Firenze. Ha partecipato alle collettive: No thought control a SACI nel 2018; Mentally Marching - Sankey Lake Public Space a Bangalore nel 2015; Invitation - Bangalore e Bais Farvari Ki Shaam a Bangalore nel 2013.

A cura di Filippo Bigagli
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